Santéssum Cruziféss
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Dal disco:
...Semplicemente cantando
[ voci virili ]
Santéssum Cruziféss
fèm bän la grâzia
mé vrê luntan da l'ùa
qualunque dṡgrâzia;
se un pôc ed dé d tempèsta
a v in vin vójja
mandèla int i zedrón
parché s in cójja.
Se tótt al vén curéss
par la lagûna
mé vrê dvintèr un pàss
e fèr fortûna
mé vrê dvintèr na tänca
e n vgnîr pió fôra
mé vrê ciapèr däl scóffi
e n avair pôra.
Santissimo Crocifisso, fatemi ben la grazia
vorrei lontano dall'uva qualunque disgrazia
se proprio vi vien voglia di qualche giorno di tempesta
mandatela sui cetrioli, perché se ne raccolga.
Se tutto il vino corresse per la laguna
vorrei diventare un pesce e far fortuna
vorrei diventare una tinca e non venir più fuori
vorrei prendere delle sbornie senza paura.
È difficile, quando si va in cerca di canti popolari, disfarsi della segreta speranza di imbattersi in una primizia, in un santo mai citato, insomma.
Evento, in teoria, neanche molto raro; in realtà però ciò avviene molto di rado.
È capitato a Milena Melloni che nel, corso della sua ricerca a Pieve di Cento, si è imbattuta in questo canto che potremmo definire la «preghiera del beone».
Si tratta di un tipico strambotto dialettale (otto versi di endecasillabi a rima baciata) che non ha riscontro, per quanto finora è a me noto, o analogie con canti riportati in raccolte a stampa.
Solo il concetto insito nel primo verso della seconda quartina: « Se tótt al vén curéss par la laguna » lo troviamo in un paio di canti d'osteria ascoltati in Veneto, concetto d'altronde presente nel noto verso: « se il mare fosse tocio » del canto «La mula de Parenzo».
Ma il canto risulta, a mio avviso, particolarmente interessante per l'abile intreccio dei due elementi che lo compongono: dalla preghiera infatti si passa al canto d'osteria senza soluzione di continuità, con rara maestria e dosata ironia.
Notevole, infine, anche la linea melodica, che arieggia certi moduli regionali legati agli stornelli.
Giorgio Vacchi