La biundéina di Rubiera

[ voci virili ]

La biundénna di Rubiera
per la strada la se ne va,
la se ne va
e li la incontra
la sô mâma
e la i dîs che l’é malè.

Se sei malata vai di sopra
vai di sopra a riposar,
a riposar
e li l’é bèla,
riccia e bionda
la li dà soddisfazion.

La soddisfazion l’é quèla
di tenere una bionda in cà,
‘na bionda in cà
e non lasciarla
andar di fuori
a far l’amor con i soldà.

I soldà son traditori
che l’amore lo san ben far,
lo san ben far
loro impromettono
di sposarla
poi la lasciano in libertà. 

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Dal disco: Cantare, perché?

Informatore: Antonio Serra. a.73

luogo: Bologna

dataricerca: 1976

ricercatore: Giorgio e Luciano Serra

Ci troviamo di fronte ad uno dei canti più noti e diffusi della tradizione popolare italiana.

Il fatto che le varie versioni, anche di regioni lontane, siano straordinariamente simili fa pensare che si tratti di composizione relativamente recente e forse di derivazione semipopolare (cioè nata da un cantastorie e diffusa col «foglio volante»).

Infatti la nostra bionda (qui di Rubiera, più spesso di Voghera, ma anche di Chiaprera, Novara, Offlaga, Corniglio, Rovegliana, oppure «la figlia di Ulalia» o «del borghese») se ne va a lavorare (a prender l’acqua, a segar l’erba, a mondare il riso) o a passeggiare e quando il sole picchia si siede. Passa un giovane (che può anche essere un soldato, il suo primo amore, un ufficiale o addirittura la truppa) che le da un bacio. Torna a casa e racconta tutto alla mamma (in una sola versione al papà) che le dice d’andare a letto che ci penserà lei.

Il giorno dopo la madre va dal sindaco (a volte è il giudice, o il medico) e chiede soddisfazione.

La risposta è costantemente: «tenete la figlia in casa e non lasciatela andar coi soldati che sono traditori».

Questo l’impianto tipo del canto: qualche soluzione diversa la troviamo, ad esempio, nelle lezioni piemontesi, in cui il giovane è condannato a pagare cento scudi; al che risponde: «Ne pagherò anche duecento / ho baciato la bionda e il mio cuore è contento».

Altra soluzione atipica nella lezione di Toano: il medico (l’autorità a cui in questo caso la madre si è rivolta), alla domanda della madre stessa di dirle di che malattia soffre la figlia, risponde:

«Ha il mal dei nove mesi
quel dei dieci guarirà.»

Anche da un punto di vista melodico, infine, le differenze tra le varie lezioni sono contenute, a conferma della tesi che si tratti appunto di canto relativamente recente.

C. Nigra: Canti popolari del Piemonte , Torino, 1888, n. 103, p. 548.
M. Conati: Canti popolari della Val d’Enza e della Val Cedra Parma1976, n. 18, p. 118.
R. Leydi: Mondo popolare in Lombardia , Voi. 2, pp. 355-376-404.
G. Ferraro: Canti popolari piemontesi ed emiliani , Milano 1977 n 64p. 126.
V. Paiola: Canti popolari vicentini , Vicenza, 1975, n. 118, p. 192.
S. Pedrotti: Canti popolari trentini , Trento, 1976, pp. 211-212.Coro della SAT: Sui monti scarpali, Trento, 1973, p. 16.
A. Vigliermo: Indagine sul Canavese , Romano Canavese, 1974, ]135-275.
R. Brivio: Canzoni sporche all’osteria , Milano, 1973, p. 12.

Giorgio Vacchi