I Signori a la cariola
I SIGNORI A LA CARIOLA: un titolo così potrebbe far pensare a un disco di"canti di protesta", quei canti cioè che, l'etichetta era stata messa negli anni '60, avevano in sé una certa carica di ribellione: ai soprusi, alla guerra, all'autorità, al potere insomma. Ed infatti una frase come "I signori a la cariola" in bocca ad un contadino avrebbe avuto certamente un significato dirompente, ammesso però che l'avesse detta.
Il fatto è che espressioni di questo genere erano rarissime, nel mondo contadino, e rappresentavano l'eccezione che conferma la regola; fu scorretto far apparire quel mondo come contestatore e ribelle solo perché era stato trovato qualche canto di contestazione e di ribellione. Ma fu facile, data la quasi assoluta mancanza di conoscenza della"civiltà contadina" da parte del grande pubblico.
Però ciò avvenne e in molti questa impressione è rimasta: invece nulla è così lontano dalla forma mentis del contadino del passato come l'idea di ribellione, sempre abituato ad eseguire, ad obbedire, a subire, a chinare la testa.
Per avere reazioni di gruppo alle angherie del potere dovremo aspettare il movimento anarchico e quello socialista (ambedue però mossi inizialmente da componenti elitarie), che pur faticarono a coinvolgere il mondo contadino e, quando ciò avvenne, fu perché si colpiva specificatamente un diritto acquisito e consolidato, vedi il caso della tassa sul macinato.
Neppure di fronte alla coscrizione obbligatoria, che da sempre rubava braccia al lavoro dei campi e, in caso di guerre (ahimè frequentissime in quei tempi), decimava i giovani, c'era mai stata una reazione forte; il fatto è che perfino la guerra appariva ai loro occhi non come qualcosa alla cui origine c'era l'uomo, ma veniva subita come in campagna si è sempre fatto di fronte alla tempesta, o al terremoto, o alla siccità: con la rassegnazione.
In quel mondo, il potere era veramente spietato e l'oppressione esercitata verso il gradino inferiore, nella scala sociale, era continua, indiscutibile, ineluttabile; e questa mala pianta col passar dei secoli aveva messo radici ovunque, ad ogni livello; il potere del padre sui figli, dei vecchi sui giovani, dell'uomo sulla donna non era poi così diverso da quello del ricco sul povero,del nobile sul servo, del padrone sul conta-dino.
Tutto ciò era troppo grande, per poter anche solo pensare ad una protesta, ad una reazione; sì, qualche eccezione ogni tanto ricordava che una ribellione era pur possibile, allora ecco il contadino che diventava brigante, il cantastorie che veniva messo in galera per una "quartina" troppo spinta, il figlio che scappava di casa.
Ma questa non era la regola. La regola era: adeguarsi.
Al mondo contadino fu quindi quasi estranea la ribellione, anche a parole, ed è ciò che constatiamo nei testi dei suoi canti: rimane solo la descrizione, l'enumerazione, l'esibizione dei tanti mali di cui era intessuta la vita, ed è dalla lettura attenta di questi "racconti", più che dalle parole eclatanti di un isolato "canto di protesta", che possiamo entrare in quel mondo di infinita tristezza.
La vera protesta è lì, tra le righe di ogni canto, nell'atmosfera dei racconti di tante piccole miserie e dolori, persino tra le parole accorate di una preghiera, quando non rimane che chiedere un miracolo, perché qualcosa cambi.
Giorgio Vacchi