Ci vuol pazienza
"Ci vuol pazienza".
Non credo fossero molte le frasi che ricorrevano, più di questa, nel parlare dei contadini; quasi sempre detta in dialetto, "ai vôl pazénzia", e spesso scuotendo la testa, come per dire che proprio non ci si poteva far niente.
Certo, in quel mondo, non mancavano le occasioni di esercitare la virtù della pazienza: eri giovane (la stagione in cui la voglia di "nuovo" è prorompente), ma con attorno troppe autorità che ti tenevano lì, attaccato al lavoro, alla terra, a quel piccolo orizzonte.
Poi, diventato adulto, non era più l'autorità ma la responsabilità, che ti teneva inchiodato: era la famiglia, erano i figli, e ancora quella catena (che nel frattempo non era certo diventata più lunga), che ti legava alla terra.
E poi ti ritrovavi vecchio: il momento in cui quella pazienza, che avevi coltivato per tutta la vita, ti serviva davvero tutta, dovendo affrontare, giorno dopo giorno, gli scampoli che ti restavano.
Ma quel mondo, senza rimpianti, se n'è andato: ora ne abbiamo uno non facile, ma certamente con qualche occasione in meno di esercitarla, questa nostra pazienza. Però teniamoci allenati perché, poco o tanto, ci servirà ancora: difficile, altrimenti, vivere.
Poi, in fondo, anche per cantare in un coro ci vuol pazienza!
Giorgio Vacchi